Questa è la cronaca della prima visita ufficiale di giornalisti a Cernòbyl, 25 anni dopo la catastrofe nucleare. Da allora nessun giornalista è potuto entrare nel sarcofago della centrale, se non per astuzia. La visita è stata organizzata dalla Commissione Ue di Bruxelles e dalla Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.
Kiev, ore 7 del mattino, radioattività 0,18.
Viale Hresciatik, la strada principale ed elegante della città. I marciapiedi sono stati spazzati dalla neve. Nei negozi di lusso - l'Italia piace anche qui - si vendono vini italiani, ma si vende vino rosso, della Crimea, anche nei piccoli chioschi (kiock) delle strade: la medicina popolare ucraina, leggenda moderna che non si sa da dove nasca, dice che il vino rosso previene gli effetti della radioattività. "Come quella volta: ci dissero di bere vodka", ricorda una donna. La vodka, rimedio delle campagne e delle mense operaie contro tutto; vodka contro influenza, foruncoli, scabbia e vodka contro il cancro alla tiroide da contaminazione radioattiva.
Si passa il Dnepr gelato, con la gente che scava i buchi nel ghiaccio per catturare qualche carpa affamata.
Statale verso nord, ore 7,45, radioattività 0,14.
Nevica leggero. Per circa 160 chilometri boschi di betulle spoglie, case, qualche fabbrica, sterpaglie, campi duri di gelo. La temperatura è tra i meno 6 e i meno 10. È la strada per Cernobyl, verso il confine con la Bielorussia.
Clima grigio chiaro, neve grigia dura a terra, automobili sporche del fango salato e grigio sparso sulle strade, cemento grigio, cielo basso e opprimente.
"Era grigio anche il sole, in quei giorni d'aprile. Un fenomeno stranissimo, non avevamo mai visto prima il sole grigio, né l'avremmo più visto dopo".
In mezzo alla campagna c'è un posto di blocco. I gabbiotti dei poliziotti, i cartelli di pericolo, una sbarra taglia la strada.
È l'ingresso alla zona di esclusione.
C'è il controllo dei documenti.
Limite della zona di esclusione, ore 9, radioattività 0,23.
Attorno ci sono le baracche dei poliziotti, le sbarre che chiudono la strada, qualche transenna mobile, i cartelli di pericolo radioattività, un cane da guardia accucciato nella neve, la strada coperta di neve. Più lontano, ancora betulle, sterpaglie, rettangoli di campi che saranno coltivati quando tornerà la bella stagione.
Volòdimir Holòscia è l'ingegnere che comanda tutta la zona di esclusione di Cernòbyl. Quando era un cittadino dell'Urss si chiamava Vladìmir, ma oggi è ucraino e si chiama Volodimir. Però parla russo, non ucraino.
Dice Holoscia: «La zona di esclusione è un'area inaccessibile di 25 chilometri quadri. Prima della catastrofe qui abitavano 116mila persone, 96mila furono trasferite altrove».
Attenzione, quando Holoscia dice "catastrofe" c'è un'ambiguità semantica. Nella lingua russa la parola "catastròfa" significa anche catastrofe, come in italiano, ma significa soprattutto incidente, anche un incidente d'auto ("avtomobìlnaia catastròfa").
Dopo il trasloco di 25 anni fa, 3mila di loro tornarono alle loro case, ma ripartirono.
Degli abitanti originali, nella zona di esclusione ne vivono ancora 250, ma è vietato abitare (se non per motivi accertati) e lo dice la legge ucraina perché non è possibile garantire standard di qualità ambientale. Abitano anche altre persone, solamente con permessi speciali.
Attraversando la zona di esclusione, ore 9,15, radioattività 0,30.
Le coltivazioni che c'erano 25 anni fa sono state abbandonate; vi crescono sterpi e boscaglie basse. I boschi di betulle e abeti sono intersecati da larghe abbattute, che servono a tagliare gli incendi. Non deve bruciare la foresta di cesio e di torio, perché il fumo porterebbe gli elementi radioattivi a spasso per questa fetta di mondo. Ci sono i sensori antincendio; in caso in cui non fosse controllabile il fuoco, questi tagli che dividono i boschi in settori servono a limitarne l'espansione.
Ogni tanto a bordo della strada ci sono case abbandonate e in rovina, piccole fabbriche con tramogge e capannoni e silos ormai rugginosi, tetti crollati.
L'unica animazione è nella borgata di Cernòbyl, 2.500 persone a un paio di chilometri dalla centrale. Una chiesa, qualche casermone, qualche negozio.
Oggi attorno alla centrale lavorano 3.300 persone. I ruspisti che fanno gli sbancamenti di terreni contaminati, i medici per i controlli, i poliziotti, gli addetti alla manutenzione, gli impiegati.
Nell'avvicinarsi al cadavere della centrale, le sequenze di tralicci dell'alta tensione sono sempre più frequenti. Vanno tutti dalla stessa parte, come raggi verso il centro, verso la stazione elettrica di trasformazione adiacente alla centrale.
Kiev, ore 7 del mattino, radioattività 0,18.
Viale Hresciatik, la strada principale ed elegante della città. I marciapiedi sono stati spazzati dalla neve. Nei negozi di lusso - l'Italia piace anche qui - si vendono vini italiani, ma si vende vino rosso, della Crimea, anche nei piccoli chioschi (kiock) delle strade: la medicina popolare ucraina, leggenda moderna che non si sa da dove nasca, dice che il vino rosso previene gli effetti della radioattività. "Come quella volta: ci dissero di bere vodka", ricorda una donna. La vodka, rimedio delle campagne e delle mense operaie contro tutto; vodka contro influenza, foruncoli, scabbia e vodka contro il cancro alla tiroide da contaminazione radioattiva.
Si passa il Dnepr gelato, con la gente che scava i buchi nel ghiaccio per catturare qualche carpa affamata.
Statale verso nord, ore 7,45, radioattività 0,14.
Nevica leggero. Per circa 160 chilometri boschi di betulle spoglie, case, qualche fabbrica, sterpaglie, campi duri di gelo. La temperatura è tra i meno 6 e i meno 10. È la strada per Cernobyl, verso il confine con la Bielorussia.
Clima grigio chiaro, neve grigia dura a terra, automobili sporche del fango salato e grigio sparso sulle strade, cemento grigio, cielo basso e opprimente.
"Era grigio anche il sole, in quei giorni d'aprile. Un fenomeno stranissimo, non avevamo mai visto prima il sole grigio, né l'avremmo più visto dopo".
In mezzo alla campagna c'è un posto di blocco. I gabbiotti dei poliziotti, i cartelli di pericolo, una sbarra taglia la strada.
È l'ingresso alla zona di esclusione.
C'è il controllo dei documenti.
Limite della zona di esclusione, ore 9, radioattività 0,23.
Attorno ci sono le baracche dei poliziotti, le sbarre che chiudono la strada, qualche transenna mobile, i cartelli di pericolo radioattività, un cane da guardia accucciato nella neve, la strada coperta di neve. Più lontano, ancora betulle, sterpaglie, rettangoli di campi che saranno coltivati quando tornerà la bella stagione.
Volòdimir Holòscia è l'ingegnere che comanda tutta la zona di esclusione di Cernòbyl. Quando era un cittadino dell'Urss si chiamava Vladìmir, ma oggi è ucraino e si chiama Volodimir. Però parla russo, non ucraino.
Dice Holoscia: «La zona di esclusione è un'area inaccessibile di 25 chilometri quadri. Prima della catastrofe qui abitavano 116mila persone, 96mila furono trasferite altrove».
Attenzione, quando Holoscia dice "catastrofe" c'è un'ambiguità semantica. Nella lingua russa la parola "catastròfa" significa anche catastrofe, come in italiano, ma significa soprattutto incidente, anche un incidente d'auto ("avtomobìlnaia catastròfa").
Dopo il trasloco di 25 anni fa, 3mila di loro tornarono alle loro case, ma ripartirono.
Degli abitanti originali, nella zona di esclusione ne vivono ancora 250, ma è vietato abitare (se non per motivi accertati) e lo dice la legge ucraina perché non è possibile garantire standard di qualità ambientale. Abitano anche altre persone, solamente con permessi speciali.
Attraversando la zona di esclusione, ore 9,15, radioattività 0,30.
Le coltivazioni che c'erano 25 anni fa sono state abbandonate; vi crescono sterpi e boscaglie basse. I boschi di betulle e abeti sono intersecati da larghe abbattute, che servono a tagliare gli incendi. Non deve bruciare la foresta di cesio e di torio, perché il fumo porterebbe gli elementi radioattivi a spasso per questa fetta di mondo. Ci sono i sensori antincendio; in caso in cui non fosse controllabile il fuoco, questi tagli che dividono i boschi in settori servono a limitarne l'espansione.
Ogni tanto a bordo della strada ci sono case abbandonate e in rovina, piccole fabbriche con tramogge e capannoni e silos ormai rugginosi, tetti crollati.
L'unica animazione è nella borgata di Cernòbyl, 2.500 persone a un paio di chilometri dalla centrale. Una chiesa, qualche casermone, qualche negozio.
Oggi attorno alla centrale lavorano 3.300 persone. I ruspisti che fanno gli sbancamenti di terreni contaminati, i medici per i controlli, i poliziotti, gli addetti alla manutenzione, gli impiegati.
Nell'avvicinarsi al cadavere della centrale, le sequenze di tralicci dell'alta tensione sono sempre più frequenti. Vanno tutti dalla stessa parte, come raggi verso il centro, verso la stazione elettrica di trasformazione adiacente alla centrale.
Fonte: ilsole24ore.com, 10 marzo 2011.
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