Uno studio del National Cancer Institute rileva che il rischio di tumore alla tiroide, per coloro che erano bambini ed adolescenti quando sono stati esposti al fallout di Chernobyl, non ha ancora iniziato a diminuire.
Quasi 25 anni dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina, i ricercatori dicono che l’esposizione allo iodio radioattivo (I-131) del fallout, può essere considerata responsabile dei tumori alla tiroide che sono ancora in corso tra le persone che vivevano nella zona e che, al momento del disastro, erano bambini o adolescenti.
Un team internazionale di ricercatori ha condotto uno studio per il National Cancer Institute (NCI), trovando una chiara relazione fra dose-risposta, in cui il maggior assorbimento dello Iodio 131 ha portato ad un aumento del rischio di cancro alla tiroide che non sembrava diminuire nel tempo.
La ricerca, che rappresenta il primo esame prospettico del rischio di cancro alla tiroide in relazione alle dosi di I-131 a cui i bambini ed adoloscenti della zona di Chernobyl sono stati esposti, è apparso il 17 marzo 2011 sulla rivista Environmental Health Perspectives.
“Questo studio è diverso dalle precedenti ricerche sull'argomento correlate a Chernobyl. In primo luogo, ci siamo basati sulle dosi di radiazioni da Iodio-131, che sono state rilevate su ogni singolo individuo preso in esame, entro due mesi dall’incidente. In secondo luogo, abbiamo identificato i tumori alla tiroide utilizzando i metodi standard e tutti i soggetti sono stati sottoposti a screening indipendentemente dalla dose di radioattività ricevuta”, ha spiegato Alina Brenner del Radiation Epidemiology Branch dell’NCI.
Lo studio ha incluso oltre 12.500 testers che al momento dell’incidente di Chernobyl, il 26 aprile 1986, avevano meno di 18 anni e che hanno vissuto nelle tre regioni ucraine più vicine al luogo del disastro: Chernigov, Zhytomyr e Kiev. I livelli di radioattività della tiroide che sono stati misurati, per ogni individuo, entro i due mesi successivi all’incidente, sono stati utilizzati per stimare la dose di I-131 assorbita. I partecipanti si sono poi sottoposti a screening per cancro alla tiroide fino a 4 volte in 10 anni, con il primo screening effettuato dai 12 ai 14 anni dopo l’incidente.
Gli screenings standard hanno incluso un esame che analizza la crescita della tiroide ed uno ecografico (con una procedura che utilizza onde sonore per definire l’immagine della tiroide all’interno del corpo), ed un esame clinico indipendente effettuato da un endocrinologo.
Alle persone esaminate è stato chiesto di completare una serie di questionari che riguardavano dettagli sulle stime di radioattività assorbite dalla tiroide e che hanno preso in considerazione fattori quali l’ambiente di vita, il consumo di latte e l’assunzione di pillole allo iodio non radioattivo, nei due mesi dopo l’incidente, per contribuire a diminuire la quantità di quello radioattivo nella tiroide.
I soggetti diagnosticati con cancro alla tiroide, sottoposti anche d operazione, in totale 65, sono stati sottoposti a biopsia per raccogliere le potenziali cellule cancerogene per l’esame microscopico.
I ricercatori hanno calcolato il rischio di cancro in relazione all’incidenza della quantità di Iodio 131 assorbita dalla tiroide di ogni persona, misurata in Gray (Gy). Il Gray è il Sistema Internazionale di unità di misura delle radiazioni assorbite. Ogni Gray rilevato in aggiunta è stato associato al doppio dell’incremento del cancro alla tiroide connesso alla radioattività.
I ricercatori non hanno trovato prove, durante il periodo di studio, per indicare che il rischio di cancro per coloro che vivevano nella zona al momento dell’incidente sia in diminuzione nel tempo.
Tuttavia, una ricerca separata, che ha analizzato le persone sopravvissute ed esposte alle radiazioni delle bombe atomiche, ha scoperto che il rischio di cancro diminuirebbe a partire dai 30 anni dopo l’esposizione, ma sarebbe ancora elevato 40 anni dopo.
I ricercatori credono che un continuato follow-up dei soggetti presi in esame in questo studio, sarà necessario per determinare quando si potrà verificare una diminuzione del rischio.
Quasi 25 anni dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina, i ricercatori dicono che l’esposizione allo iodio radioattivo (I-131) del fallout, può essere considerata responsabile dei tumori alla tiroide che sono ancora in corso tra le persone che vivevano nella zona e che, al momento del disastro, erano bambini o adolescenti.
Un team internazionale di ricercatori ha condotto uno studio per il National Cancer Institute (NCI), trovando una chiara relazione fra dose-risposta, in cui il maggior assorbimento dello Iodio 131 ha portato ad un aumento del rischio di cancro alla tiroide che non sembrava diminuire nel tempo.
La ricerca, che rappresenta il primo esame prospettico del rischio di cancro alla tiroide in relazione alle dosi di I-131 a cui i bambini ed adoloscenti della zona di Chernobyl sono stati esposti, è apparso il 17 marzo 2011 sulla rivista Environmental Health Perspectives.
“Questo studio è diverso dalle precedenti ricerche sull'argomento correlate a Chernobyl. In primo luogo, ci siamo basati sulle dosi di radiazioni da Iodio-131, che sono state rilevate su ogni singolo individuo preso in esame, entro due mesi dall’incidente. In secondo luogo, abbiamo identificato i tumori alla tiroide utilizzando i metodi standard e tutti i soggetti sono stati sottoposti a screening indipendentemente dalla dose di radioattività ricevuta”, ha spiegato Alina Brenner del Radiation Epidemiology Branch dell’NCI.
Lo studio ha incluso oltre 12.500 testers che al momento dell’incidente di Chernobyl, il 26 aprile 1986, avevano meno di 18 anni e che hanno vissuto nelle tre regioni ucraine più vicine al luogo del disastro: Chernigov, Zhytomyr e Kiev. I livelli di radioattività della tiroide che sono stati misurati, per ogni individuo, entro i due mesi successivi all’incidente, sono stati utilizzati per stimare la dose di I-131 assorbita. I partecipanti si sono poi sottoposti a screening per cancro alla tiroide fino a 4 volte in 10 anni, con il primo screening effettuato dai 12 ai 14 anni dopo l’incidente.
Gli screenings standard hanno incluso un esame che analizza la crescita della tiroide ed uno ecografico (con una procedura che utilizza onde sonore per definire l’immagine della tiroide all’interno del corpo), ed un esame clinico indipendente effettuato da un endocrinologo.
Alle persone esaminate è stato chiesto di completare una serie di questionari che riguardavano dettagli sulle stime di radioattività assorbite dalla tiroide e che hanno preso in considerazione fattori quali l’ambiente di vita, il consumo di latte e l’assunzione di pillole allo iodio non radioattivo, nei due mesi dopo l’incidente, per contribuire a diminuire la quantità di quello radioattivo nella tiroide.
I soggetti diagnosticati con cancro alla tiroide, sottoposti anche d operazione, in totale 65, sono stati sottoposti a biopsia per raccogliere le potenziali cellule cancerogene per l’esame microscopico.
I ricercatori hanno calcolato il rischio di cancro in relazione all’incidenza della quantità di Iodio 131 assorbita dalla tiroide di ogni persona, misurata in Gray (Gy). Il Gray è il Sistema Internazionale di unità di misura delle radiazioni assorbite. Ogni Gray rilevato in aggiunta è stato associato al doppio dell’incremento del cancro alla tiroide connesso alla radioattività.
I ricercatori non hanno trovato prove, durante il periodo di studio, per indicare che il rischio di cancro per coloro che vivevano nella zona al momento dell’incidente sia in diminuzione nel tempo.
Tuttavia, una ricerca separata, che ha analizzato le persone sopravvissute ed esposte alle radiazioni delle bombe atomiche, ha scoperto che il rischio di cancro diminuirebbe a partire dai 30 anni dopo l’esposizione, ma sarebbe ancora elevato 40 anni dopo.
I ricercatori credono che un continuato follow-up dei soggetti presi in esame in questo studio, sarà necessario per determinare quando si potrà verificare una diminuzione del rischio.
Fonte: Media-Newsfire, 18 marzo 2011; Traduzione: Progetto Humus
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