Invece di perder tempo a riflettere, il Cantone di Argovia, che ospita tre delle cinque centrali del Paese, ha votato per tenerle in funzione. E secondo il professor Antonino Zichichi il vero pericolo atomico è l'uomo
Riflettere, riflettere, riflettere. Molto lodevolmente, il governo dice di voler riflettere ancora un anno sulla decisione di riavviare il nucleare nel nostro Paese. Intanto, mentre noi pensiamo per un anno, i nostri vicini in quarant'otto ore agiscono. E agiscono esattamente come da noi figurato non più di tre giorni fa. In seguito ai fatti del Giappone i Verdi della Svizzera hanno chiesto al Parlamento del Cantone di Argovia (che ospita 3 dei 5 reattori svizzeri) di uscire dal nucleare. A tamburo battente, i 130 parlamentari hanno votato: 82 a favore del nucleare, confermandolo così la fonte che dà quasi il 50% d'elettricità agli svizzeri (l'altro 50% lo ottengono dall'idroelettrico). Insomma, siccome i francesi hanno già detto che non chiuderanno col nucleare, e ora neanche gli svizzeri, i reattori che si trovano entro un raggio di 200 km da Milano, 26 sono e 26 resteranno.
Ma, ancorché lodevole la decisione di riflettere, deve pur venire anche per noi il momento di agire (in un senso o nell'altro) e così mi permetto di suggerire alcuni spunti per una riflessione, se non rapida, almeno proficua. Un primo spunto di riflessione lo suggerisce il comportamento degli svizzeri e consiste nel porsi la seguente domanda: cosa faranno i giapponesi? Spegneranno i 50 reattori che gli sono rimasti? Se non volessimo imitare la Svizzera, forse potremmo pensare di imitare il Giappone. Se chiuderà col nucleare, allora avrà valutato che non è sicuro e le nostre ritrosie sarebbero più che legittime. Se invece non chiuderà col nucleare, allora dovrebbe quanto meno rafforzarsi in noi il dubbio che le nostre preoccupazioni siano, a dir poco, ingiustificate. A questo proposito, un elemento informativo analogo, ma certo, esiste: il caso dell'Ucraina, che «dopo» Chernobyl ha installato 9 nuovi reattori (portando così a 15 quelli in esercizio) e ne ha pianificato la costruzione, entro il 2035, di altri 22 (avete letto bene: 22), di cui 2 sono già in costruzione.
Un secondo spunto di riflessione potrebbe essere suggerito da una domanda cruciale che val la pena porsi: al di là della colorita letteratura mediatica che ci ha deliziato per giorni, se in Giappone non vi fosse stato alcuno dei 55 reattori nucleari in esercizio, vi sarebbe oggi un morto di meno? Siccome la risposta è no, forse potremmo concludere che il nucleare è sicuro al cospetto di terremoti anche 1000 volte più intensi di quello dell'Aquila, anche con maremoto a seguire.
Il terzo spunto di riflessione è questo. Il terremoto ha fatto collassare una diga, e il collasso ha spazzato via decine di abitazioni assieme ai loro sfortunati abitanti. Riflettiamo ora come segue: se in Giappone ci fosse stato un reattore nucleare in più al posto della diga che, collassando, ha spazzato via quell'intero villaggio, avremmo avuto oggi anche molti morti in meno? Qualcuno, molto giustamente, osserva che l'evacuazione cautelativa di un'area di 20 km di raggio attorno alla centrale ormai famosa è stata comunque una tragedia. Val la pena ricordare che, senza avere alcuna centrale nucleare, i cittadini dell'Aquila subirono la stessa tragedia e vissero per molte settimane in tende e lontani da casa. Così come quei poveretti del villaggio giapponese travolto dal collasso della diga non ebbero neanche il privilegio di essere evacuati, semplicemente perché una diga che collassa questo privilegio non dà.
Ma, ancorché lodevole la decisione di riflettere, deve pur venire anche per noi il momento di agire (in un senso o nell'altro) e così mi permetto di suggerire alcuni spunti per una riflessione, se non rapida, almeno proficua. Un primo spunto di riflessione lo suggerisce il comportamento degli svizzeri e consiste nel porsi la seguente domanda: cosa faranno i giapponesi? Spegneranno i 50 reattori che gli sono rimasti? Se non volessimo imitare la Svizzera, forse potremmo pensare di imitare il Giappone. Se chiuderà col nucleare, allora avrà valutato che non è sicuro e le nostre ritrosie sarebbero più che legittime. Se invece non chiuderà col nucleare, allora dovrebbe quanto meno rafforzarsi in noi il dubbio che le nostre preoccupazioni siano, a dir poco, ingiustificate. A questo proposito, un elemento informativo analogo, ma certo, esiste: il caso dell'Ucraina, che «dopo» Chernobyl ha installato 9 nuovi reattori (portando così a 15 quelli in esercizio) e ne ha pianificato la costruzione, entro il 2035, di altri 22 (avete letto bene: 22), di cui 2 sono già in costruzione.
Un secondo spunto di riflessione potrebbe essere suggerito da una domanda cruciale che val la pena porsi: al di là della colorita letteratura mediatica che ci ha deliziato per giorni, se in Giappone non vi fosse stato alcuno dei 55 reattori nucleari in esercizio, vi sarebbe oggi un morto di meno? Siccome la risposta è no, forse potremmo concludere che il nucleare è sicuro al cospetto di terremoti anche 1000 volte più intensi di quello dell'Aquila, anche con maremoto a seguire.
Il terzo spunto di riflessione è questo. Il terremoto ha fatto collassare una diga, e il collasso ha spazzato via decine di abitazioni assieme ai loro sfortunati abitanti. Riflettiamo ora come segue: se in Giappone ci fosse stato un reattore nucleare in più al posto della diga che, collassando, ha spazzato via quell'intero villaggio, avremmo avuto oggi anche molti morti in meno? Qualcuno, molto giustamente, osserva che l'evacuazione cautelativa di un'area di 20 km di raggio attorno alla centrale ormai famosa è stata comunque una tragedia. Val la pena ricordare che, senza avere alcuna centrale nucleare, i cittadini dell'Aquila subirono la stessa tragedia e vissero per molte settimane in tende e lontani da casa. Così come quei poveretti del villaggio giapponese travolto dal collasso della diga non ebbero neanche il privilegio di essere evacuati, semplicemente perché una diga che collassa questo privilegio non dà.
Fonte: Il Giornale.it, 24 marzo 2011.
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