La catastrofe di Chernobyl è stata la più grande della storia del nucleare civile. Sebbene anche quella giapponese di Fukushima abbia raggiunto lo stesso livello massimo di classificazione sulla scala internazionale “Ines”, il settimo, l’incidente nella centrale ucraina è considerato ancora dagli esperti il più grave, per la maggior fuga di materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area.
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 si verificò l’esplosione al reattore numero 4. Durante un test per verificare il funzionamento della turbina nel caso mancamento improvviso di corrente elettrica, errori umani e tecnica difettosa crearono le condizioni per il disastro. L’orologio segnava l’una, 23 minuti e 44 secondi. Fu liberata radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, una quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
All’interno del reattore erano custodite circa 200 tonnellate di uranio. Secondo gli esperti fuoriuscirono il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera. La nube radioattiva si spostò da Chernobyl verso gran parte d’Europa. Secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 km dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio, cesio e plutonio.
Solo il 27 aprile, 36 ore dopo l’incidente, furono evacuati i 45 mila abitanti di Pripyat, la cittadina a un passo da Chernobyl e nei giorni successivi circa 130 mila persone in un raggio di 30 km dovettero lasciare le proprie case. In totale furono circa 350 mila le persone evacuate dalla regione e costrette a trasferirsi altrove.
Nei primi dieci giorni successivi alla catastrofe si tentò con ogni mezzo di tamponare la fuga radioattiva: elicotteri militari versarono oltre 1.800 tonnellate di sabbia e 2.400 di piombo sul reattore, ma solo il 6 maggio la situazione fu sotto controllo.
Migliaia di persone parteciparono alle operazioni, tra militari e civili. Si calcola che i liquidatori - operai, pompieri, soldati, reclutati e volontari - siano stati nei mesi seguenti circa 700 mila, provenienti non solo da Ucraina, ma anche da Russia e Bielorussia, repubbliche che all’epoca dell’incidente facevano parte dell’Urss.
Il primo sarcofago provvisorio fu terminato il 14 ottobre del 1986. I primi a lavoare sul luogo dell’incidente, i cosiddetti “early liquidators” fanno parte del gruppo di vittime, circa 4.000, che l’Iaea considera causate direttamente dalle radiazioni. Stime non ufficiali arrivano a 25 mila. Anche per il calcolo delle persone colpite da malattie è difficile stabilire con certezza. E sono difficilmente quantificabili i danni e i disturbi psicologici che possono aver interessato i 5 milioni di persone esposte a radiazioni sopra la norma, anche per un breve periodo, subito dopo l’esplosione.
A 25 anni dall’incidente la zona proibita nel raggio dei 30 km dalla centrale è diventata meta per gite organizzate da alcuni tour operator di Kiev che offrono ai turisti la possibilità di arrivare sino sotto il reattore numero 4 di Chernobyl e di visitare la città fantasma di Pripyat.
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 si verificò l’esplosione al reattore numero 4. Durante un test per verificare il funzionamento della turbina nel caso mancamento improvviso di corrente elettrica, errori umani e tecnica difettosa crearono le condizioni per il disastro. L’orologio segnava l’una, 23 minuti e 44 secondi. Fu liberata radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, una quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
All’interno del reattore erano custodite circa 200 tonnellate di uranio. Secondo gli esperti fuoriuscirono il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera. La nube radioattiva si spostò da Chernobyl verso gran parte d’Europa. Secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 km dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio, cesio e plutonio.
Solo il 27 aprile, 36 ore dopo l’incidente, furono evacuati i 45 mila abitanti di Pripyat, la cittadina a un passo da Chernobyl e nei giorni successivi circa 130 mila persone in un raggio di 30 km dovettero lasciare le proprie case. In totale furono circa 350 mila le persone evacuate dalla regione e costrette a trasferirsi altrove.
Nei primi dieci giorni successivi alla catastrofe si tentò con ogni mezzo di tamponare la fuga radioattiva: elicotteri militari versarono oltre 1.800 tonnellate di sabbia e 2.400 di piombo sul reattore, ma solo il 6 maggio la situazione fu sotto controllo.
Migliaia di persone parteciparono alle operazioni, tra militari e civili. Si calcola che i liquidatori - operai, pompieri, soldati, reclutati e volontari - siano stati nei mesi seguenti circa 700 mila, provenienti non solo da Ucraina, ma anche da Russia e Bielorussia, repubbliche che all’epoca dell’incidente facevano parte dell’Urss.
Il primo sarcofago provvisorio fu terminato il 14 ottobre del 1986. I primi a lavoare sul luogo dell’incidente, i cosiddetti “early liquidators” fanno parte del gruppo di vittime, circa 4.000, che l’Iaea considera causate direttamente dalle radiazioni. Stime non ufficiali arrivano a 25 mila. Anche per il calcolo delle persone colpite da malattie è difficile stabilire con certezza. E sono difficilmente quantificabili i danni e i disturbi psicologici che possono aver interessato i 5 milioni di persone esposte a radiazioni sopra la norma, anche per un breve periodo, subito dopo l’esplosione.
A 25 anni dall’incidente la zona proibita nel raggio dei 30 km dalla centrale è diventata meta per gite organizzate da alcuni tour operator di Kiev che offrono ai turisti la possibilità di arrivare sino sotto il reattore numero 4 di Chernobyl e di visitare la città fantasma di Pripyat.
Fonte: Quotidiano.net, 19 aprile 2011.
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