Materiali ferrosi radioattivi abbandonati da 25 anni: è il nuovo allarme dall'Ucraina post Chernobyl
Alcune foto scattate dalla BBC mostrano i relitti ferrosi abbandonati nell’area di Chernobyl: 27 anni fa, quando esplose il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl, causando uno dei peggiori disastri ambientali dell’epoca europea moderna, centinaia di mezzi di soccorso (tra vigili del fuoco, elicotteri, ambulanze, mezzi della polizia e dell’esercito) si precipitarono sul posto per tentare di arginare i danni e di trarre in salvo la popolazione e i lavoratori della centrale.
Alla costruzione del primo “sarcofago”, quel guscio tanto fragile quanto necessario a contenere i danni della radioattività, tutti quei mezzi di soccorso furono semplicemente abbandonati: troppo radioattivi per pensare di poterli riutilizzare, troppi numericamente per pensare di poterli smaltire in sicurezza; abbandonati in un campo a poche centinaia di metri dal reattore, come mostrano le foto della BBC, per ben 25 anni.
Il problema, che comincia a balzare alle cronache, è che quei rottami sono ancora là ma il problema no, quello si espande, sempre più velocemente, sempre più minacciosamente: quella distesa di metallo, dichiarata off-limits dal governo ucraino, continua ad emanare fortissime radiazioni, livelli tali (al momento sui dati c’è una guerra di segretezza) che dovrebbero costringere l’Ucraina a stoccare tutti questi materiali ferrosi radioattivi in un altro “sarcofago”: una messa in sicurezza che non finisce mai. A questo si aggiunge inoltre un problema non da poco, che è già all’attenzione dell’Unione Europea: secondo diverse segnalazioni numerose persone sarebbero state viste dentro e nei pressi del grande campo di vetture, incuranti del rischio radiazioni e dei pericoli per la salute, intenti a trafugare metalli preziosi: dal rame rubato dai binari e dai cantieri dell’alta velocità ai metalli trafugati direttamente all’interno delle centraline elettriche, oggi il “ratto” dei metalli arriva dentro uno dei luoghi più pericolosi del Continente. L’obiettivo è sempre quello: il rame, ma a che l’alluminio, il ferro, il piombo, tutti metalli che si piazzano facilmente sul mercato usato, riutilizzato per nuovi prodotti. Un riutilizzo che però non ha proprietà decontaminanti dalle radiazioni nucleari, che restano e continuano dunque a fare danni, anzi: una piccola quantità di metallo radioattivo può contaminare le restanti parti metalliche del nuovo macchinario.
Usare metalli contaminati per la creazione di nuovi prodotti di consumo è dunque una pratica assolutamente da scongiurare: non solo i nuovi prodotti in quanto tali, ma anche le apparecchiature utilizzare per il loro trasporto, la lavorazione, l’imballaggio. Gli scaffali dei negozi.
L’Università di Berkeley, in uno studio condotto di recente, in cui si dimostra come migliaia di prodotti di largo consumo contengano alti valori di radioattività, mette in risalto come sia praticamente impossibile stabilire la provenienza di determinati materiali per la produzione di prodotti di largo consumo. L’Università di Berkeley punta il dito in particolare proprio sull’ex blocco sovietico, sull’India e sulla Cina, sollevando un problema riscontrato ad esempio sui prodotti da combustione, come il pellet, da arredamento, come il parquet, e di largo consumo (automobili, elettrodomestici)..
Spinti dall’avidità o dalla disperazione, i ladri di metallo non sembrano preoccuparsi più di tanto della provenienza della loro “refurtiva”, ormai sempre più indirizzati anche verso siti che dovrebbero essere considerati “moralmente” proibiti, cioè i cimiteri, o particolarmente pericolosi, cioè le cabine dell’Enel. Ma c’è un posto che dovrebbe essere considerato particolarmente stupido – o soprattutto disperato – da saccheggiare: il cantiere di demolizione di Chernobyl.
Durante il tragico incidente al reattore nucleare in Ucraina, ondate di mezzi di soccorso, camion dei pompieri ed elicotteri dell’esercito furono inviati a tentare di contenere e ripulire il disastro. Quando gli sforzi di un primo “risanamento” si conclusero (con la realizzazione del famigerato “sarcofago”), migliaia di veicoli e di altri macchinari risultarono essere troppo radioattivi per essere riutilizzati e furono semplicemente abbandonati in un campo nei pressi del reattore. Dopo oltre 25 anni sono ancora lì, una distesa di metallo arrugginito che il governo ha dichiarato off-limits (vedi reportage fotografico della BBC). Ma il fatto che gran parte del rottame stia ancora emettendo livelli pericolosi di radiazioni a quanto pare non sembra aver impensierito determinati “scrappers”.
Ci sono diverse segnalazioni di persone sorprese a rubare tonnellate di metallo irradiato da vicino dal reattore ed è evidente che questo venga poi venduto per il riciclaggio in nuovi prodotti. Ma in metallo recuperato, anche se rifuso, non perde la sua radioattività, e anche una piccola quantità può contaminare le stesse apparecchiature per il trasporto, il trattamento, imballaggio e, infine, comparire sugli scaffali dei negozi. Della radioattività di molti prodotti in commercio ne ha parlato anche uno studio dell’Università di Berkley, California (USA) che mette in risalto proprio l’impossibilità di determinare la provenienza di alcune materie prime con cui vengono realizzate le merci distribuite nel mondo intero, puntando l’indice non solo sui Paesi dell’ex Unione Sovietica ma anche verso la Cina e l’India.
Quanto sopra si ricollega al pericolo di commercializzazione del legno di Chernobyl, sia per uso arredamento (mobili, parquet, ecc.) sia per quello da ardere (vedi pellet), anche perché la Centrale si trova all’interno di una maestosa e infinita foresta di betulle e pioppi che non viene sottratta all’uso umano (solo una parte di quest’area, quella più vicina al sito e che è stata tristemente ribattezzata “foresta rossa” in quanto le radiazioni hanno modificato il colore degli alberi, è virtualmente protetta, sia in Ucraina che in Bielorussia).
Il problema, che comincia a balzare alle cronache, è che quei rottami sono ancora là ma il problema no, quello si espande, sempre più velocemente, sempre più minacciosamente: quella distesa di metallo, dichiarata off-limits dal governo ucraino, continua ad emanare fortissime radiazioni, livelli tali (al momento sui dati c’è una guerra di segretezza) che dovrebbero costringere l’Ucraina a stoccare tutti questi materiali ferrosi radioattivi in un altro “sarcofago”: una messa in sicurezza che non finisce mai. A questo si aggiunge inoltre un problema non da poco, che è già all’attenzione dell’Unione Europea: secondo diverse segnalazioni numerose persone sarebbero state viste dentro e nei pressi del grande campo di vetture, incuranti del rischio radiazioni e dei pericoli per la salute, intenti a trafugare metalli preziosi: dal rame rubato dai binari e dai cantieri dell’alta velocità ai metalli trafugati direttamente all’interno delle centraline elettriche, oggi il “ratto” dei metalli arriva dentro uno dei luoghi più pericolosi del Continente. L’obiettivo è sempre quello: il rame, ma a che l’alluminio, il ferro, il piombo, tutti metalli che si piazzano facilmente sul mercato usato, riutilizzato per nuovi prodotti. Un riutilizzo che però non ha proprietà decontaminanti dalle radiazioni nucleari, che restano e continuano dunque a fare danni, anzi: una piccola quantità di metallo radioattivo può contaminare le restanti parti metalliche del nuovo macchinario.
Usare metalli contaminati per la creazione di nuovi prodotti di consumo è dunque una pratica assolutamente da scongiurare: non solo i nuovi prodotti in quanto tali, ma anche le apparecchiature utilizzare per il loro trasporto, la lavorazione, l’imballaggio. Gli scaffali dei negozi.
L’Università di Berkeley, in uno studio condotto di recente, in cui si dimostra come migliaia di prodotti di largo consumo contengano alti valori di radioattività, mette in risalto come sia praticamente impossibile stabilire la provenienza di determinati materiali per la produzione di prodotti di largo consumo. L’Università di Berkeley punta il dito in particolare proprio sull’ex blocco sovietico, sull’India e sulla Cina, sollevando un problema riscontrato ad esempio sui prodotti da combustione, come il pellet, da arredamento, come il parquet, e di largo consumo (automobili, elettrodomestici)..
Chernobyl: dopo la legna radioattiva, il pericolo adesso viene dal metallo riciclatoFonte: Ecoblog.it, 24/06/2013
Spinti dall’avidità o dalla disperazione, i ladri di metallo non sembrano preoccuparsi più di tanto della provenienza della loro “refurtiva”, ormai sempre più indirizzati anche verso siti che dovrebbero essere considerati “moralmente” proibiti, cioè i cimiteri, o particolarmente pericolosi, cioè le cabine dell’Enel. Ma c’è un posto che dovrebbe essere considerato particolarmente stupido – o soprattutto disperato – da saccheggiare: il cantiere di demolizione di Chernobyl.
Durante il tragico incidente al reattore nucleare in Ucraina, ondate di mezzi di soccorso, camion dei pompieri ed elicotteri dell’esercito furono inviati a tentare di contenere e ripulire il disastro. Quando gli sforzi di un primo “risanamento” si conclusero (con la realizzazione del famigerato “sarcofago”), migliaia di veicoli e di altri macchinari risultarono essere troppo radioattivi per essere riutilizzati e furono semplicemente abbandonati in un campo nei pressi del reattore. Dopo oltre 25 anni sono ancora lì, una distesa di metallo arrugginito che il governo ha dichiarato off-limits (vedi reportage fotografico della BBC). Ma il fatto che gran parte del rottame stia ancora emettendo livelli pericolosi di radiazioni a quanto pare non sembra aver impensierito determinati “scrappers”.
Ci sono diverse segnalazioni di persone sorprese a rubare tonnellate di metallo irradiato da vicino dal reattore ed è evidente che questo venga poi venduto per il riciclaggio in nuovi prodotti. Ma in metallo recuperato, anche se rifuso, non perde la sua radioattività, e anche una piccola quantità può contaminare le stesse apparecchiature per il trasporto, il trattamento, imballaggio e, infine, comparire sugli scaffali dei negozi. Della radioattività di molti prodotti in commercio ne ha parlato anche uno studio dell’Università di Berkley, California (USA) che mette in risalto proprio l’impossibilità di determinare la provenienza di alcune materie prime con cui vengono realizzate le merci distribuite nel mondo intero, puntando l’indice non solo sui Paesi dell’ex Unione Sovietica ma anche verso la Cina e l’India.
Quanto sopra si ricollega al pericolo di commercializzazione del legno di Chernobyl, sia per uso arredamento (mobili, parquet, ecc.) sia per quello da ardere (vedi pellet), anche perché la Centrale si trova all’interno di una maestosa e infinita foresta di betulle e pioppi che non viene sottratta all’uso umano (solo una parte di quest’area, quella più vicina al sito e che è stata tristemente ribattezzata “foresta rossa” in quanto le radiazioni hanno modificato il colore degli alberi, è virtualmente protetta, sia in Ucraina che in Bielorussia).
Fonte: Greenreport.it, 24/06/2013
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