Cosa rimane del più grande disastro nucleare della storia a più di venticinque anni dall’accaduto? Tutto e niente. Ovviamente stiamo parlando di Chernobyl e dell’incidente, avvenuto la notte del 26 aprile 1986 in Ucraina, che cambiò la storia di un paese, contribuì alla caduta di un regime, quello sovietico, e influenzò, sia direttamente che non, milioni e milioni di persone, anche in Italia.
Sono passati molti anni da allora e le cose cambiano, le tragedie diventano soltanto dei ricordi dolorosi e un disastro come quello di Chernobyl può diventare un’attrazione turistica.
Si, avete capito bene: è possibile visitare la centrale nucleare di Chernobyl, arrivare fino a 100 metri dal reattore numero quattro, quello dell’incidente, e vagare per qualche ora fra rovine di cittadine abbandonate, il tutto all’interno di una regione grande come il Lussemburgo, chiamata “Zona di alienazione”, che separa questo mondo dal resto del globo.
Basta una lettera al governo Ucraino, trovare un’agenzia turistica che organizzi il transfert, un po’ di coraggio e il gioco è fatto.
Ovviamente visitare questi posti non può essere paragonato a una classica scampagnata al mare, in quanto, ancora oggi, la zona risulta essere ancora contaminata da un livello molto alto di radiazioni presenti nell’aria e, in particolare, a livello del terreno, che la rendono pericolosa e poco salutare per le persone.
Nonostante siano passati 27 anni. Giusto per dare qualche esempio: cinque ore all’interno della zona di alienazione, in termini di assorbimento delle radiazioni che un essere umano possa tollerare senza conseguenze, equivale alla dose che un uomo può assorbire nell’arco di un paio di giorni. E comunque, un mal di testa a fine giornata non si evita comunque. I prezzi sono cari, circa 150 dollari per poter visitare l’area, mentre le persone che intraprendono una simile “gita” non sono poi molte, eppure colpisce come una simile tragedia sia potuta diventare, oggi, una meta da poter visitare, con addirittura la possibilità di potersi scattare foto di fronte il sarcofago, la costruzione in cemento e acciaio che copre il reattore numero 4. Fortunatamente, i souvenir ancora non vengono venduti.
Al di là dell’ex impianto, oramai in disuso, e della cittadina di Chernobyl, luogo in qui vivono gli addetti alla manutenzione della centrale, gli scienziati, l’amministrazione della zona e gli incaricati alla decontaminazione dell’area, tutto il resto giace in uno stato di semi-abbandono. Nessuno vive più qui. Immaginate una regione, 30 km ampia, completamente abbandonata. Pripyat, una cittadina delle dimensioni di Mantova e molto vicina alla centrale nucleare, nemmeno due km, è una ghost town dove tutto venne abbandonato di punto in bianco, dall’oggi al domani, in quanto tutta la sua popolazione fu fatta evacuare dopo due giorni dall’incidente. Ripeto: due giorni dopo. Non subito. Ma questa è un’altra storia.
Immaginate schiere di palazzoni abbandonati, strade crepate dalle quali fuoriescono piante, case crollate, rottami di autovetture lasciate lì a marcire fra la polvere e la ruggine, scorci di vita ovunque(una bambola dimenticata per terra nel caos del fuggifuggi, un carrello della spesa, un bicchiere dentro un distributore) mentre dall’alto del parco divertimenti cittadino, troneggia la famosa ruota panoramica gialla, uno dei simboli più famosi della città. E pensare che questa ruota sarebbe dovuta essere stata inaugurata il 1 maggio di quello stesso anno, quattro giorni dopo l’incidente: troppo tardi. Non si può toccare niente, né tanto meno sedere per terra o appoggiarsi da qualche parte e bisogna andare sempre coperti dalla testa ai piedi per evitare contatti diretti, nonostante ciò, la cosa che più colpisce e che ha colpito pure il sottoscritto (in visita alla centrale non per macabra curiosità, bensì solo per lavoro) è la natura: piante, piccoli mammiferi, insetti, fiori. Ovunque. Uno si aspetterebbe la desolazione più totale e invece ecco ritrovarsi in mezzo a una natura così rigogliosa, con la consapevolezza che a volte il destino è veramente beffardo: quello che ha ucciso gli uomini, facendoli scappare via a gambe levate, ha reso, all’incontrario, più forti la vegetazione e gli animali. Mutanti, in quanto tutto ciò che vive qui ha subito profonde mutazioni, eppure liberi dagli uomini.
Qualcuno potrebbe dire che, forse, la cosa non sia stata poi un così grande male. Mentre i contatori geiger, adibiti alla rivelazione della quantità di radiazioni presente nell’aria, suonano un momento si e uno no, mostrando zone in cui la radioattività può raggiungere anche valori del 16.35, il tour all’interno della zona di alienazione permette di rivivere il dramma di quei giorni, l’incidente e i giorni successivi, l’evacuazione improvvisa, quando ancora nessuno sapeva niente, mentre l’aria si andava riempiendo sempre più di elementi radioattivi come plutonio e uranio. Vengono i brividi al solo pensare a tutte quelle persone ignare dei fatti, che lentamente venivano contagiate. Migliaia e migliaia di persone. Sul serio: fa impressione. Forse potrà sembrare macabro visitare simili posti, tanto da poter identificare questa tipologia di turismo come “estremo”, eppure solo toccando con mano, solo vedendo con i propri occhi simili cose, forse solo così è possibile comprendere certe cose fino in fondo.
Il tour si conclude, dulcis in fundo, con un controllo della radioattività all’uscita dalla zona di alienazione, forse più pittoresco che effettivo, che consiste nel passare all’interno di uno scanner, affinché possa essere rivelata un’eventuale contaminazione radioattiva.
Caso raro ma possibile. Un momento di attesa. Si accende la luce verde. Tutto ok.
Radioattività: zero punto zero.
Possiamo tornare a casa.
Nonostante siano passati 27 anni. Giusto per dare qualche esempio: cinque ore all’interno della zona di alienazione, in termini di assorbimento delle radiazioni che un essere umano possa tollerare senza conseguenze, equivale alla dose che un uomo può assorbire nell’arco di un paio di giorni. E comunque, un mal di testa a fine giornata non si evita comunque. I prezzi sono cari, circa 150 dollari per poter visitare l’area, mentre le persone che intraprendono una simile “gita” non sono poi molte, eppure colpisce come una simile tragedia sia potuta diventare, oggi, una meta da poter visitare, con addirittura la possibilità di potersi scattare foto di fronte il sarcofago, la costruzione in cemento e acciaio che copre il reattore numero 4. Fortunatamente, i souvenir ancora non vengono venduti.
Al di là dell’ex impianto, oramai in disuso, e della cittadina di Chernobyl, luogo in qui vivono gli addetti alla manutenzione della centrale, gli scienziati, l’amministrazione della zona e gli incaricati alla decontaminazione dell’area, tutto il resto giace in uno stato di semi-abbandono. Nessuno vive più qui. Immaginate una regione, 30 km ampia, completamente abbandonata. Pripyat, una cittadina delle dimensioni di Mantova e molto vicina alla centrale nucleare, nemmeno due km, è una ghost town dove tutto venne abbandonato di punto in bianco, dall’oggi al domani, in quanto tutta la sua popolazione fu fatta evacuare dopo due giorni dall’incidente. Ripeto: due giorni dopo. Non subito. Ma questa è un’altra storia.
Immaginate schiere di palazzoni abbandonati, strade crepate dalle quali fuoriescono piante, case crollate, rottami di autovetture lasciate lì a marcire fra la polvere e la ruggine, scorci di vita ovunque(una bambola dimenticata per terra nel caos del fuggifuggi, un carrello della spesa, un bicchiere dentro un distributore) mentre dall’alto del parco divertimenti cittadino, troneggia la famosa ruota panoramica gialla, uno dei simboli più famosi della città. E pensare che questa ruota sarebbe dovuta essere stata inaugurata il 1 maggio di quello stesso anno, quattro giorni dopo l’incidente: troppo tardi. Non si può toccare niente, né tanto meno sedere per terra o appoggiarsi da qualche parte e bisogna andare sempre coperti dalla testa ai piedi per evitare contatti diretti, nonostante ciò, la cosa che più colpisce e che ha colpito pure il sottoscritto (in visita alla centrale non per macabra curiosità, bensì solo per lavoro) è la natura: piante, piccoli mammiferi, insetti, fiori. Ovunque. Uno si aspetterebbe la desolazione più totale e invece ecco ritrovarsi in mezzo a una natura così rigogliosa, con la consapevolezza che a volte il destino è veramente beffardo: quello che ha ucciso gli uomini, facendoli scappare via a gambe levate, ha reso, all’incontrario, più forti la vegetazione e gli animali. Mutanti, in quanto tutto ciò che vive qui ha subito profonde mutazioni, eppure liberi dagli uomini.
Qualcuno potrebbe dire che, forse, la cosa non sia stata poi un così grande male. Mentre i contatori geiger, adibiti alla rivelazione della quantità di radiazioni presente nell’aria, suonano un momento si e uno no, mostrando zone in cui la radioattività può raggiungere anche valori del 16.35, il tour all’interno della zona di alienazione permette di rivivere il dramma di quei giorni, l’incidente e i giorni successivi, l’evacuazione improvvisa, quando ancora nessuno sapeva niente, mentre l’aria si andava riempiendo sempre più di elementi radioattivi come plutonio e uranio. Vengono i brividi al solo pensare a tutte quelle persone ignare dei fatti, che lentamente venivano contagiate. Migliaia e migliaia di persone. Sul serio: fa impressione. Forse potrà sembrare macabro visitare simili posti, tanto da poter identificare questa tipologia di turismo come “estremo”, eppure solo toccando con mano, solo vedendo con i propri occhi simili cose, forse solo così è possibile comprendere certe cose fino in fondo.
Il tour si conclude, dulcis in fundo, con un controllo della radioattività all’uscita dalla zona di alienazione, forse più pittoresco che effettivo, che consiste nel passare all’interno di uno scanner, affinché possa essere rivelata un’eventuale contaminazione radioattiva.
Caso raro ma possibile. Un momento di attesa. Si accende la luce verde. Tutto ok.
Radioattività: zero punto zero.
Possiamo tornare a casa.
Fonte: Inform@zione.tv, 28/08/2013
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